Theodor W. Adorno

Individuo e organizzazione

Estratti da “La società degli individui”, n. 9, 2000 – Traduzione di Alessandro Bellan

Copyright La società degli individui

[L’individuo e il duplice carattere dell’organizzazione] (…) L’estensione dell’organizzazione a tutti gli ambiti della società e, inevitabilmente, a tutti gli ambiti dell’esistenza dei singoli uomini è [vista come] una sorta di destino. La socializzazione conforme alla ragione non lascia inesplicato più alcun impulso, cattura tutto e viene percepita come potenza naturale, talvolta anche dai suoi stessi critici. [Non ci si può nascondere] che noi siamo costretti, volenti o nolenti, a collaborare come ingranaggi del meccanismo e che la nostra individualità è ristretta sempre più alla nostra vita privata e alla nostra riflessione ed è perciò atrofizzata (…) Se la nostra stessa individualità ci viene in certa misura concessa come un lusso, allora tale concessione si distingue al massimo grado da quella condizione al centro della quale la vita della società si aspettava di trovare l’indipendenza e l’iniziativa degli individui. Un tempo c’era una ricompensa per l’individualità, oggi essa è sospetta come deviazione (…) La società non si sarebbe affermata contro la natura, non avrebbe potuto mantenersi in vita senza l’organizzazione e oggi, meno che mai, ciò sarebbe possibile (…) Parlare dell’inesorabilità dell’organizzazione fa dimenticare facilmente il punto decisivo, ovvero che l’organizzazione è una forma di socializzazione, qualche cosa che è creato dagli uomini per gli uomini (…) Non si può perciò parlare della minaccia dell’uomo da parte dell’organizzazione, perché il processo oggettivo e i soggetti che lo subiscono non solo sono contrapposti l’uno all’altro, ma sono anche il medesimo (…)

[Coscienza individuale e resistenza critica] (…) L’individuo non può venire aiutato così come si annaffia un fiore. Per gli uomini è meglio che essi divengano apertamente consapevoli della condizione alla quale li consegna la coazione dei rapporti, anziché venir confermati nell’illusione per cui essi sarebbero soggetti solo là dove, nel profondo, sappiano perfettamente che devono sottomettersi. Solo se essi riconoscono una tale situazione fino in fondo possono cambiarla. (…) Chi crede che ci si possa riunire attorno a una tavola rotonda e, con buona volontà, scoprire in comune quale evento debba verificarsi per la salvezza dell’uomo, dell’interiorità, per il riscatto dell’organizzazione o per simili scopi alti e lontani, si rapporta in modo estraneo al mondo. Costui assume che vi sia qualcosa come un soggetto comune della conformazione cosciente della società, proprio dove la realtà consiste nell’assenza di tale soggetto univoco della ragione, nel predominio delle contraddizioni (…) L’unica pretesa che può venire elevata senza vergogna sarebbe quella per cui il singolo impotente rimanga padrone di se stesso attraverso la coscienza della propria impotenza. La coscienza individuale che conosce il tutto, in cui gli individui sono incapsulati, è anche oggi non ancora soltanto individuale, ma tiene fermo l’universale come conseguenza del pensiero. (…) L’ordine razionale della sfera pubblica è rappresentabile soltanto se all’altro estremo, cioè nella coscienza individuale, viene risvegliata la resistenza contro l’organizzazione, sovradimensionata e al tempo stesso incompleta. (…) Una vaccinazione degli uomini contro l’idiozia acutizzata che esce da ogni film, da ogni programma televisivo, da ogni giornale illustrato, sarebbe già un frammento di prassi trasformatrice.